Descrizione
Location: Italia
Nome Progetto: AVE (Accesso Vascolare per Emodialisi)
Anno di avvio: 2016
Categoria: Emodialisi
Progetto di Ricerca AVE (Accesso Vascolare per Emodialisi)
In convezione con l’Universita FEDERICO II, Dipartimento di Sanità Pubblica, Unità di Nefrologia ed Ipertensione Nefrovascolare
Background
I Pazienti affetti da una malattia renale cronica (MRC) allo stadio V, secondo la classificazione Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (K-DOQI), necessitano di un adeguato accesso vascolare per eseguire il trattamento sostitutivo emodialitico.
L’accesso vascolare è considerato la linea della vita per il paziente in dialisi. Esistono tre tipi di accesso vascolare per emodialisi:
-FAV nativa confezionata con i vasi del paziente,
-FAV protesica (graft) confezionata impiegando materiale sintetico o semi biologico
-Cateteri Venosi Centrali (CVC).
Secondo le linee guida NKF-KDOQI e le European Best Practice Guidelines Guidelines (EBPG), la FAV native dovrebbe essere presente in almeno il 50% dei pazienti incidenti in dialisi, limitando al massimo l’uso delle protesi e dei CVC.
L’utilizzo del CVC dovrebbe essere limitato a coloro i quali per comorbilità o esaurimento dei vasi utilizzabili per le FAV non esistano altre possibilità per essere sottoposti al trattamento sostitutivo emodialitico.
L’uso di un CVC è previsto, inoltre, come “bridge” in attesa di maturazione di una FAV, nativa o protesica, oppure in quei pazienti in cui si debba attendere che si realizzino le condizioni cliniche generali o locali che inizialmente hanno controindicato la creazione di un accesso vascolare totalmente impiantato.
Esistono in letteratura diversi studi su quali sia l’accesso migliore.
Lo studio DOPPS (Dialysis Outcomes and Practice Patterns Study) ha evidenziato che in Europa (Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Spagna), la più alta percentuale di pazienti prevalenti con FAV è presente in Italia. Questo dato è stato successivamente confermato dallo studio DOPPS III.
Introduzione e cenni storici
L’evoluzione dell’emodialisi è strettamente collegata all’evoluzione dell’accesso vascolare.
Per molti anni è stato difficile intraprendere il trattamento dialitico di routine per via della difficoltà nel reperire un accesso vascolare con continuità, tale difficoltà ha reso indisponibile la dialisi come trattamento di routine.
Nel 1924 Georg Haas, in Germania, eseguì il primo trattamento emodialitico su esseri umani. Con una procedura di 15 minuti, utilizzò un ago di vetro per accedere all’arteria radiale e reinfondere il sangue alla vena cubitale.
Nel 1943 Willem Kolff, in Olanda, sviluppò un rene artificiale a tamburo rotante, con un’ampia superficie di scambio utilizzando una membrana di cellulosa. Furono eseguiti 12 trattamenti emodialitici che dovettero essere sospesi per mancanza di accessi vascolari, poiché il posizionamento di una cannula ad ogni trattamento richiedeva una diversa incisione dell’arteria.
I risultati cambiarono drasticamente nel 1960, quando venne l’idea di connettere un’arteria ed una vena con un tubicino di plastica ed una cannula di vetro.
Originariamente concepita da Nils Alwall in Svezia, fu successivamente sviluppata da Quinton, Dillar, e Scribner come uno shunt artero-venoso esterno, in Teflon. Il loro primo paziente sopravvisse per più di 10 anni, dopo l’inserimento del primo shunt, nel marzo 1960.
Le estremità rastremate delle due cannule di Teflon furono inserite rispettivamente nella arteria radiale e l’adiacente vena cefalica, dell’avambraccio.
Nel periodo inter dialitico, i terminali esterni venivano connessi tra loro con un raccordo curvo di Teflon, poi sostituito con un tubicino flessibile in silicone.
Nel 1961 Stanley Shaldon, non trovando un chirurgo vascolare disponibile, utilizzò la tecnica di Seldinger per inserire un catetere nell’arteria e nella vena femorale.
La Fistola Artero-Venosa (Figura 1) consiste in un’anastomosi tra un’arteria ed una vena col fine di immettere flusso arterioso, che scorre in profondità, in un distretto venoso superficiale facilmente pungibile in maniera ripetuta nel tempo.
La connessione tra i due letti vascolari porta ad una modificazione morfologica delle pareti della vena, fenomeno definito come maturazione o arterializzazione della vena.
La fistola artero-venosa nativa nacque nel 1966 ad opera di Brescia, Cimino e Appel che ne resero pubblici i risultati (N.Engl. J.Med 1966) e ne fecero riconoscere il brevetto.
Essi confezionarono un’anastomosi latero-laterale tra l’arteria radiale e la vena cefalica del polso.
Nel 1968, Lars Röhl presentò i risultati di 30 pazienti portatori di anastomosi latero-terminale (arteria laterale e vena terminale).
Nel 1977 fu presentata la fistola di Gracz, successivamente modificata da Klaus Konner realizzata utilizzando la vena perforante alla piega del gomito: tale vena connette il circolo venoso superficiale a quello profondo.
Questa FAV è in grado di limitare il flusso della FAV prevenendo anche la possibile sindrome da furto distale, soprattutto nei pazienti arteriopatici e diabetici.
Nel 1969 George Thomas collegò un composto di Dacron con l’arteria femorale comune e la relativa vena, che furono poi collegate con un tubo in silastic e superficializzate sulla porzione anteriore della coscia.
Lo shunt di Thomas fu presto sostituito da una protesi in politetrafluoroetilene (PTFE), quando Baker presentò i dati dei primi 72 pazienti nel 1976. Il PTFE rimane tuttora il materiale più utilizzato per le protesi, sebbene siano disponibili dal 1972 protesi di materiale biologico e semibiologico.
Scopo della ricerca
“ACCESSO VASCOLARE PER EMODIALISI (AVE)”, nell’ambito di una nuova modalità di presa in carico del paziente cronico e fragile con MRC, è quello di effettuare uno studio scientifico del monitoraggio degli accessi vascolari (FAV, FAV protesica, CVC) dei Pazienti emodializzati afferenti ai nostri ambulatori di emodialisi.
Il monitoraggio è volto a valutare periodicamente il buon funzionamento dell’accesso vascolare in modo da prevedere e quindi prevenire le complicanze trombotiche consentendone una maggiore sopravvivenza e raccogliere il maggior numero di dati medico / scientifici (Big Data).
Il progetto di ricerca e sviluppo previsto dal protocollo scientifico a durata quinquennale ha la finalità ultima di raggiungere i seguenti obiettivi o outcome di valutazione:
- Valutazione della diagnosi precoce di anomalie o malfunzionamenti dell’accesso vascolare e la loro correzione prima che si sviluppino complicanze maggiori
- Riduzione della necessità e durata delle ospedalizzazioni per AV
- Miglioramento della qualità dei trattamenti (misurato dall’incremento del rapporto Kt/V ed altri indici di adeguatezza dialitica.
- Miglioramento della qualità di vita.
- Riduzione della mortalità ed allungamento della vita media del paziente.
Accesso vascolare e mortalità dei pazienti nel paziente in emodialisi
Per quanto la dialisi abbia ridotto la mortalità strettamente associata all’uremia, la mortalità in dialisi rappresenta tuttora un grave problema. Dal registro americano (United States Renal Data System) risulta che l’aspettativa di vita è approssimativamente di 8 anni per il paziente in dialisi con età da 40 a 44 anni ed approssimativamente di 4,5 anni per i pazienti con età da 60 a 64 anni.
Diversi sono i fattori responsabili della alta incidenza di mortalità in dialisi. Alcuni di questi fattori non sono strettamente legati alla dialisi, ma alle preesistenti comorbidità: cardiovascolari, diabete mellito, ipertensione arteriosa, aterosclerosi.
Altri fattori sono tipici della dialisi come l’accesso vascolare.
Un accesso vascolare efficiente consente di effettuare trattamenti dialitici qualitativamente elevati con migliore sopravvivenza del paziente.
Tra le tre opzioni di accesso vascolare in precedenza citate, la FAV assicura una minore mortalità rispetto alla protesi e soprattutto rispetto al CVC.
In uno studio che ha valutato pazienti incidenti in dialisi, la percentuale dei pazienti con CVC, protesi e FAV, rispettivamente del 20%, 14% e del 66%, il rischio relativo di morte era 1.5 (95% C.I.1.0-2.2) per i pazienti dializzati con CVC e 1.2 (95% C.I. 0.8-1.8) per i pazienti dializzati con protesi rispetto ai pazienti dializzati con FAV.
Lo studio HEMO ha evidenziato che i pazienti prima dializzati con FAV e successivamente con CVC presentavano un’aumentata mortalità che non era presente nei pazienti prima dializzati mediante CVC e successivamente mediante FAV.
In 3749 pazienti, dopo aggiustamenti per diversi fattori confondenti, la mortalità per tutte le cause era pari a 115 casi per 1000 pazienti anno (95% C.I. 94-142 morti) nei pazienti trattati mediante FAV, mentre era pari a 242 casi per 1000 pazienti anno (95% C.I. 211-277 morti) nei pazienti trattati con CVC.
Nello stesso studio, era confermata un maggior rischio di mortalità per tutte le cause nei pazienti portatori di protesi vascolare rispetto ai pazienti con FAV.
Sopravvivenza dell’accesso vascolare
Appare evidente che la FAV assicura una maggiore sopravvivenza del paziente in dialisi rispetto alle altre due opzioni.
È fondamentale, pertanto, mettere in atto ogni sforzo per ottenere una efficiente FAV e preservare il più a lungo possibile la sua funzionalità.
Efficienza e sopravvivenza sono differenti tra i vari accessi vascolari.
Le complicanze dell’accesso vascolare sono più numerose nei pazienti con protesi rispetto ai pazienti con FAV; la sopravvivenza della FAV è maggiore rispetto alla protesi con valori del 53% e del 45% a distanza di 5 e 10 anni, rispettivamente. Al contrario, la percentuale di sopravvivenza della protesi a distanza di 1, 2 e 4 anni è del 67%, 50%, 43%, rispettivamente. Diversi fattori possono condizionare l’efficienza e la sopravvivenza dell’accesso vascolare: età, obesità, presenza di comorbilità, aterosclerosi, malattia vascolare periferica, precedenti eventi cardiovascolari, diabete, tabagismo, aritmie, tempo del primo controllo nefrologico (referral). L’età del paziente gioca un ruolo fondamentale. Purtroppo, l’età non è un fattore modificabile.
Il numero dei pazienti anziani (>65 anni) in dialisi è in continuo aumento ed è superiore ai pazienti giovani, Il paziente anziano presenta un maggior numero di comorbilità che possono negativamente influenzare l’efficienza e la durata della FAV rendendo la costruzione stessa più difficile.
È più frequente che il paziente anziano possa avere una FAV meno efficiente di un paziente giovane essendo il suo patrimonio vascolare “intaccato” da processi degenerativi angiosclerotici.
Il timing della prima osservazione del paziente da parte del nefrologo (nephrology referral) costituisce uno dei principali fattori modificabili: malgrado la rilevanza clinica della malattia renale cronica (MRC), il “nephrology referral” è molto spesso tardivo (late referral) annullando i potenziali benefici di un più tempestivo approccio alla malattia (timely referral”).
Il timely-referral incide positivamente sulle cause irreversibili della MRC, sulla programmazione delle opzioni terapeutiche del trattamento dialitico, sul programma di trapianto renale,
A causa del “late-referral” il nefrologo è costretto a ricorrere all’inserimento del CVC per iniziare tempestivamente il trattamento dialitico, in quanto anche il ricorso all’ allestimento della FAV, non consentendone comunque, un pronto utilizzo, costringe il paziente al ricorso del CVC.
L’impiego di una FAV non matura condiziona la sua successiva efficienza e sopravvivenza. La FAV è ottimale quando presenta un flusso >600 mL /min, la vena ha un diametro minimo di 0,6 cm, non è profonda più di 6 mm ed è ben reperibile alla palpazione. Il timing per il confezionamento della FAV è, pertanto, rilevante non solo ai fini della durata della FAV, ma anche ai fini di una dialisi adeguata e conseguente minore mortalità per i pazienti.
Il paziente che inizia il trattamento dialitico con FAV “matura” è meno esposto a rischio di mortalità rispetto ad un paziente che inizia la dialisi con una FAV in corso di maturazione oppure con il CVC.
Un consensus statement della National Kidney Foundation Kidney Disease Outcomes Quality Iniziative (NKF KDOQI) raccomanda che il paziente con MRC venga considerato idoneo per costruzione dell’accesso vascolare (preferibilmente FAV) quando la sua clearance della creatinina è <25 mL/min, e la creatinina sierica >4 mg/dL, oppure quando sia previsto l’inizio della dialisi nei 12 mesi successivi. Il confezionamento on timing di una FAV oltre a garantire una maggiore efficienza e più prolungata sopravvivenza con conseguente riduzione del rischio di mortalità per il paziente, è risultato essere sostanzialmente meno costoso per il Servizio Sanitario negli USA. La fistola artero-venosa (FAV) con vasi nativi rappresenta ancora oggi il “gold standard” rispetto alla FAV protesica (FAVp) e ai cateteri venosi centrali (CVC).
I Pazienti portatori di FAV presentano un più basso rischio di mortalità dovuta ad infezioni e malattie cardiovascolari rispetto ai pazienti portatori di CVC.
Lo studio DOPPS ha individuato nelle patologie collegate all’accesso vascolare per emodialisi le più importanti cause di ospedalizzazione con degenze prolungate e frequenti sindromi da sottodialisi.
Le FAV, ed in misura maggiore FAV protesiche e CVC, vanno incontro a complicanze con conseguente perdita della funzione; tra esse la più frequente è la trombosi.
Nella maggior parte dei casi l’evento trombotico nelle FAV è dovuto a una stenosi misconosciuta la cui sede più frequente è il tratto iuxta-anastomotico.
Nelle FAV protesiche la sede più frequente di stenosi è a livello dell’anastomosi venosa (76%) a causa della turbolenza del flusso provocata dalla diversità di calibro (mismatch) fra protesi e vena, con conseguente lesione endoteliale.
Una FAV ben funzionante e correttamente gestita è, pertanto, requisito importante per un adeguato trattamento dialitico.
In considerazione del fatto che la stenosi della FAV è una lesione evolutiva e che è presente un periodo variabile di malfunzionamento prima dell’arresto totale del flusso, una diagnosi precoce permette la correzione in elezione (chirurgia/radiologia interventistica) delle cause di malfunzionamento.
Accordi per l’innovazione – Programma MISE “Orizzonte Europa” con Università Roma “La Sapienza”
Con riferimento al progetto di ricerca e sviluppo “AVE” è in corso di studio ed elaborazione, in collaborazione con Uni La Sapienza Dip. di Medicina Traslazionale e di Precisione, Dip. di Informatica e I.A. e Dipartimento di Management, nell’ambito degli accordi di Innovazione (riconducibili al secondo pilastro del programma “Orizzonte Europa”) con il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) un sistema di supporto predittivo alle decisioni mediche basato su Intelligenza Artificiale per la personalizzazione delle Terapie Emodialitiche SIATE, utilizzando i Big Data delle ricerche “AVE”.
Risorse Utilizzate
Risorse Umane
Nefrologo, Medici conduttori di seduta dialitica, Chirurgo Vascolare, Infermieri.
Tecnologie
- Monitor per la dialisi: da utilizzarsi per il monitoraggio costante della qualità dell’accesso vascolare grazie alla misurazione dei principali parametri vitali, della pressione venosa dinamica e del KT/V.
- Ecodoppler portatili: per l’esecuzione del programma di misurazione del flusso dell’accesso vascolare oppure on demand ogni qualvolta vi sia il sospetto di un’anomalia o malfunzionamento all’esame clinico o al monitoraggio strumentale.
- Software per la raccolta e la gestione dei Big Data.
- Algoritmi Predittivi
RISULTATI
La nostra ricerca sta dimostrando che il sistema di monitoraggio (software e clinico, al pari dei programmi di sorveglianza, oggetto del progetto di ricerca) determina un’incremento nella sopravvivenza dell’accesso vascolare e una riduzione delle ospedalizzazioni e una riduzione del tasso di mortalità dei pazienti, contestualmente è stato avviato un approfondito programma di formazione dello staff sia medico che infermieristico al fine di implementare i processi clinici e informati legati al suindicato progetto di ricerca.
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